domenica 21 agosto 2011

Patriarcato

Se chiudo gli occhi e penso alla casa dei nonni, mi vengono in mente molti ricordi.
La prima immagine che penso è un corridoio buio che porta al grande salotto della casa. La casa è una tipica casa costruita durante il boom economico: un ingresso con un lungo corridoio, ai lati si aprono le stanze e in fondo il grande salotto delle cene e dei pranzi di famiglia.
I pavimenti di pietra ricordano quei grandi polpettoni di gelatina che trovo nei supermercati o nelle gastronomie e che da piccola pensavo fossero pellicce di dalmata (e pensavo che la nonna fosse Crudelia Demon venuta direttamente dal cartone a sostituire la nonna vera) dove mi sdraio ancora oggi per prendere un po' di fresco nelle giornate calde nel silenzio che dice tutto, tipico dei nonni.

L'arredamento scuro, dalle forme morbide lascia intravedere il servizio da te tipicamente anni Settanta, in cui la nonna mi faceva la camomilla alla marmellata (e ci credevo davvero, in realtà basta metterci molto limone). Il divano è cambiato da poco, è di un verde acido che mi fa pensare che pure i nonnini siano degli interior designer professionisti. Ma la cosa più bella e la prima che in realtà si vede dall'ingresso di casa, subito dopo il lungo corridoio buio(con lampadario rigorasamente uguale a quello delle locande), sono una sfilza di cornici una sopra l'altra di grandezza diversa a seconda della fila. Tre file di quadri su una parete, ma sopra il divano un gigantesco quadro ad olio della piazza più famosa della città, che ha rischiato molto quando la mia gattina ha voluto osservarlo da vicino.

Le cornici, alcune fini, altre più grosse e bronzate, ospitano solo ed esclusivamente dipinti fatti da mio nonno. E di conseguenza anche casa mia ospita solo sue opere: dalle montagne agli alberi tra la nebbia, dalle ghiacciaie innevate al paesello della sua infanzia. Prevalentemente sono acquerelli, in particolare ritraggono il lago di Garda, di colori intensi ma allo stesso tempo acquosi. Spesso mi sono fatta prestare da lui colori a matita, acquerelli e pastelli vari sperando che avessero un potere magico.

Di recente sono andata a farmi consolare dalla nonna a causa di distanze amorose e delusioni di studio: abbiamo scoperto delle tavolette a colore ad olio fatte da mio nonno a 15 anni. Ho sempre stimato quell'armadio di uomo, silenzioso ma patriarca della famiglia, che andato in pensione, si è iscritto all'Accademia di Belle Arti e ha ricoperto la casa di quadri, molti dei quali sono accatastati addosso a un muro, facendo anche mostre in giro per il territorio.
Frugando con la nonna nelle sue carte davanti al suo sguardo vigile mentre brontolava che quelle cose non dovevamo toccarle che erano sue, mi è tornato nel naso il profumo di quella stanza quando dipingeva e l'odore del colore ad olio e della carta mi ha fatto pensare che anche io, qualsiasi sarà la mia passione creerò una stanza, un piccolo atelier dove lavorare nella mia casa. Nella speranza di ricordare sempre quel profumo, ma soprattutto quel modo silenzioso di vivere le passioni senza smettere mai.

E poi, coltiverò ancora di più la passione dei libri, quelli grandi delle mostre, di cui la sua casa è piena ma di cui non parla mai. Inizierò con calma a portare in valigia un volume alla volta, i miei grandi amori per far conoscere a Caravaggio, a Monet e ai Clash(eh si, pure di  loro ho un gran bel libro fotografico) la mia nuova casetta. Me li immagino già usicre di notte dai loro libri: i Clash che se ne vanno nel bar sotto casa a far casino, Caravaggio a dipingere frutta sul tavolo e gli impressionisti a star impalati fissi davanti alla lavatrice cercando di cogliere la luce dell'acqua colorata con i vestiti.

Una sorta di Toy Story dell'arte.Un Art Story dove i libri hanno nella seconda copertina il mio nome, come Woody ha quello di Andy sotto lo stivale.



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